Le donne al volante che fanno tremare l’Arabia Saudita

Loujain al-Hathloul, 25 anni, mostra la patente di guida ottenuta negli Emirati Arabi Uniti
Loujain al-Hathloul, 25 anni, mostra la patente di guida ottenuta negli Emirati Arabi Uniti

“Donne al volante, pericolo costante”. L’accostamento tra le donne e le automobili è motivo di grande ilarità per gli uomini occidentali. Ma che cosa accade se della becera, innocua ironia si trasforma in realtà? Lo sanno bene le donne dell’Arabia Saudita, l’unico Paese al mondo dove al genere femminile è proibito guidare.

L’attivista Loujain al-Hathloul, 25 anni, e la giornalista Maysaa al-Amoudi, 33, si trovano in carcere dal primo dicembre proprio per avere infranto questo divieto: la prima è stata fermata dalle guardie di frontiera mentre stava attraversando il confine tra gli Emirati Arabi Uniti (dove ha conseguito la patente) e l’Arabia Saudita, mentre la seconda -che vive negli Emirati Arabi Uniti- si è resa colpevole di essere accorsa (sempre in auto) in supporto della venticinquenne al momento del fermo.

La foto profilo Twitter della giornalista Maysaa al-Amoudi, 33 anni
La foto del profilo Twitter della giornalista Maysaa al-Amoudi, 33 anni

Ma c’è dell’altro, ed è la ragione per cui ho deciso di raccontare tale vicenda nel mio blog: il caso potrebbe essere trasferito presso la Corte criminale specializzata di Riyad (capitale dell’Arabia Saudita) e trattato come un reato di terrorismo. Quest’ultimo passaggio sarebbe giustificato dal fatto che le due hanno promosso sui social network una campagna a favore dei diritti delle donne, incluso quello di guidare.

Dietro a quest’assurda storia si trova una spessa coltre di ambiguità a livello di legge e di diritti umani, conseguenza del perdurare di consuetudini basate per lo più sull’integralismo religioso.

La possibilità che Loujain e Maysaa siano processate per terrorismo è data dalla legge antiterrorismo introdotta lo scorso febbraio (e duramente criticata da Amnesty International), che –come ha segnalato la ong internazionale Human Rights Watchrappresenta una forte minaccia alla libertà di espressione.

Le autorità saudite stanno incrementando la repressione sulle persone che criticano pacificamente il governo su Internet, mentre giudici e procuratori usano le disposizioni vaghe previste in una legge anti crimini informatici del 2007 per accusare e processare cittadini sauditi per tweet pacifici e commenti postati sui social network.

Al momento dell’arresto le due avevano in totale 359mila seguaci su Twitter (228mila Loujain, 131mila Maysaa).

La legge antiterrorismo prevede che i sospettati possano rimanere in detenzione in incommunicado (senza contatto con l’esterno e soprattutto con gli avvocati), anche per quattro mesi. Il mese di prigionia delle due attiviste rappresenta finora il record sul fronte delle donne al volante.

Una donna saudita mentre va in bicicletta
Una donna saudita mentre va in bicicletta

Per quanto riguardo il divieto di guida, la sua motivazione sta nel fatto che le donne dell’Arabia Saudita non hanno il permesso di muoversi liberamente, soprattutto nel timore di relazioni extraconiugali: le famiglie più abbienti sono costrette a spendere fino a 400 dollari al mese per pagare un autista che si occupi degli spostamenti delle donne di casa; l’alternativa è la presenza costante di un maschio. Dall’aprile 2013 è invece possibile vedere in giro delle cicliste, ma a precise condizioni: la donna deve comunque essere accompagnata da un uomo, deve indossare l’abaya (lungo camice nero che copre tutto il corpo, eccetto testa, mani e piedi) e si può muovere solo in zone definite.

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L’attivista Manal al-Sharif in automobile

Il decreto che inibisce la guida alle donne risale al 1990, allorché una quarantina di donne fu fermata mentre guidava in una strada principale di Riyad. Nello stesso tempo il Gran muftì (la più alta carica religiosa del Paese) emise una fatwa (ossia una sentenza vincolante per tutti i musulmani) contro le donne alla guida. Le proteste femminili si protrassero negli anni, finché nel 2011 non si arrivò alla creazione del movimento Women2Drive: a maggio fu postato su Facebook e su Youtube un video, girato dall’attivista Wajeha al-Huwaider, che ritraeva un’altra attivista, Manal al-Sharif, impegnata alla guida di un’automobile a Khobar; la conducente fu imprigionata per una settimana e condannata a 10 frustrate (pena poi sospesa dal “clemente” re Abdullah). Nel giugno dello stesso anno si tenne la prima protesta nazionale contro il ventennale divieto.

La foto del profilo Twitter di Eman al-Nafjan, nota in Rete come Saudiwoman. Sullo sfondo la bandiera dell'Arabia Saudita
La foto del profilo Twitter di Eman al-Nafjan, nota in Rete come Saudiwoman. Sullo sfondo la bandiera dell’Arabia Saudita

Nell’ottobre 2013 la blogger saudita Eman al-Nafjan -nota sul web come Saudiwoman– fu fermata dalla polizia mentre guidava nel contesto di una campagna a favore delle donne al volante e costretta a dichiarare che non si sarebbe più messa alla guida.

La richiesta del giudice di processare Loujain e Maysaa come terroriste rappresenta un unicum inconcepibile per la mentalità occidentale: mai potremmo immaginare che ciò che qui costituisce pane per facili battute possa essere considerato una pericolosa minaccia. Eppure vedere delle donne al volante in Arabia Saudita sarebbe un’autentica rivoluzione: e dato che siamo nell’era in cui le rivoluzioni attecchiscono proprio su Internet, ben si capiscono i timori delle autorità saudite.

 

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