Le regine della Siria

La storia si ripete. Gli uomini continuano a ricorrere alle armi per conquistare il potere. Il significato della vita umana perde valore, spade, kalashinkov e droni dettano la legge del destino. Ad Atene nel 415 a.C., in piena guerra del Peloponneso, andavano in scena “Le Troiane” di Euripide. L’opera racconta la sorte delle donne troiane in seguito alla presa della città da parte degli Achei. Quasi 2.500 anni dopo, le rifugiate siriane si sono messe nei loro panni. La realtà del conflitto che da cinque anni infiamma la Siria le ha rese drammaticamente simili alle schiave di guerra di cui narra il drammaturgo greco.

“Queens of Syria” è un adattamento arabo delle “Troiane” euripidee diretto da Omar Abu Saada. Lo spettacolo, nato nel 2013 ad Amman, in Giordania, grazie al progetto di Charlotte Eagar, di William Stirling e di Georgina Paget e a una raccolta fondi benefica, a luglio approderà nel Regno Unito per un tour di tre settimane. Le rifugiate siriane vennero a sapere dell’iniziativa mentre erano in coda per ottenere i buoni alimentari delle Nazioni Unite. Senza soldi, senza futuro, senza casa, il teatro appariva loro un rifugio, un mondo parallelo in cui poter dimenticare lo scoppio delle bombe, il terrore sui volti dei figli.

Decine di donne decisero di aderire all’appello dei tre sceneggiatori – vale a dire, sette settimane di teatro-terapia. Ma, al principio, molte di loro subirono la pressione di mariti e parenti conservatori, che non volevano che si esibissero sul palcoscenico. Alla fine i dissapori si appianarono, e le aspiranti attrici poterono iniziare a lavorare ai propri personaggi. Raneem, 24 anni e due figli, scelse Andromaca. «Perché anche il mio compagno è un eroe coraggioso», spiega. «Quel pomeriggio ha rischiato di morire per venire a prenderci sotto le bombe. Quando hanno bussato alla porta, non volevo aprire, avevo paura: invece era lui». Fatima invece preferì Ecuba. «Come lei, eravamo tutte regina a casa nostra», sentenzia.

La recitazione ha avuto su queste donne un effetto terapeutico, le ha aiutate a uscire dall’isolamento a cui la vita da rifugiate le aveva condannate. «La tragedia dà loro un senso di identità. Vogliono condividere la propria storia, essere ascoltate», afferma Charlotte Eagar. Alcune avrebbero persino voluto utilizzare il teatro per denunciare pubblicamente il regime di Bashar al-Assad, mentre altre temevano le conseguenze di una simile azione. Nel 2014, “Queens of Syria” è stato rappresentato al CERN di Ginevra. E, come si diceva, a breve arriverà nel Regno Unito. Ormai hanno preso coraggio, hanno elaborato il loro trauma e lo hanno trasformato in un punto di forza. Sono pronte a raccontare la propria storia e quella delle sfortunate donne di Troia davanti al mondo intero.

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