Ecco perché gli stereotipi di genere nel terrorismo sono pericolosi

Non più solo mogli e schiave sessuali, ma anche spietate guerriere. Se prima il loro compito si limitava a contribuire a dare vita a una nuova generazione di terroristi, da qualche tempo a questa parte le donne hanno un ruolo sempre più centrale nello Stato Islamico.

Reclutano adepti e propagandano l’operato di Isis attraverso i social network, controllano che le leggi del Califfato siano rispettate, puniscono e torturano chi le infrange. Le donne di Isis, che spesso appaiono più radicalizzate degli uomini, assaporano il gusto del sangue e del potere con un sadismo che lascia esterrefatti.

Nonostante la presenza femminile nei ranghi dei gruppi terroristici non sia un fenomeno nuovo, facciamo fatica ad accettare senza perplessità il numero crescente di donne che sceglie di unirsi alle fila dello Stato Islamico (secondo un report del think tank New America, tra gli occidentali andati a combattere in Siria uno su sette è donna). La retorica del “gentil sesso”, infatti, ci ha insegnato che la brutalità e la guerra non riguardano l’universo femminile.

Wafa Idris nel 2002 si fece esplodere a Gerusalemme. Aveva 28 anni
Wafa Idris nel 2002 si fece esplodere a Gerusalemme. Aveva 28 anni

«L’immagine di donne violente si scontra con le aspettative di femminilità basate sul genere, che ci dicono che le donne sono dolci, pacifiche e premurose», scrive Kiva Richard, che studia Scienze Politiche all’University of Edinburgh. «Come gli studiosi hanno notato, è difficile conciliare l’idea della “femmina amorevole” con quella del “killer calcolatore”».

Quando una donna compie un’azione violenta, la prima cosa che si mette in risalto è il suo genere sessuale. Il crimine commesso passa immediatamente in secondo piano, e acquista importanza solo in virtù del fatto che è stato compiuto da un individuo di sesso femminile.

«In genere i racconti [dei media] – anziché riconoscere la falsità dello (…) stereotipo secondo cui le donne non sono violente – fanno emergere la singolarità o l’eccezionalità di queste donne violente». I media – prosegue Richard – tendono a rappresentarle in modo sensazionalistico, dipingendole come «madri, mostri o puttane».

Sanna Sillanpää, nel 1999 uccise tre uomini in un club di tiro a Helsinki
Sanna Sillanpää, nel 1999 uccise tre uomini in un club di tiro a Helsinki

A volte si riconducono le azioni violente di alcune donne a problemi in famiglia, come è accaduto nel 2002 per Wafa Idris, la prima donna che prese parte attivamente alla lotta armata palestinese contro Israele. Molti ipotizzarono che la decisione della 28enne di farsi esplodere a Gerusalemme fosse una conseguenza del divorzio dal marito.

Altre volte si punta invece sui (presunti) disturbi psicologici delle criminali, descritte come mostri disumani prive di femminilità. È il caso di Sanna Sillanpää, una donna finlandese che nel 1999 uccise a colpi di pistola tre uomini in un club di tiro a Helsinki.

In altri contesti ancora si evidenza la sensualità dell’omicida, paragonata a una prostituta senza remore. I ritratti giornalistici di Bernardine Dohrn, allora leader dell’organizzazione criminale americana “Weather Underground”, ne sottolineavano con una certa insistenza l’abbigliamento provocante e la figura seducente.

Bernardine Dohrn, ex leader di un'organizzazione criminale americana degli anni '70
Bernardine Dohrn, ex leader di un’organizzazione criminale americana degli anni ’70

Richard spiega che minimizzare le azioni delle terroriste e ridurle a delle eccezioni rispetto agli stereotipi è sbagliato per almeno due motivi. Da una parte si perde di vista la reale portata dei singoli casi. Dopo il gesto kamikaze di Wafa Idris, per esempio, i media si sforzarono a tal punto di individuarne le ragioni personali da perdere di vista che sempre più donne stavano emulando la giovane.

Nello stesso tempo, si alimenta la teoria – ormai largamente superata – secondo cui uomo e donna rappresentano due poli opposti, e la donna è un essere fragile che necessita della protezione dell’uomo. Basta guardare il proliferare di articoli che descrivono le donne dello Stato Islamico ingabbiandole nella riduttiva espressione di “spose della jihad”, abbindolate online attraverso promesse di un paradiso inesistente, Nutella e gattini.

Tutto ciò può avere conseguenze molto serie. «Le donne sono state escluse dalle teorie accademiche riguardanti la politica del terrorismo e del controterrorismo», scrive Richard. Al momento sembra che le donne non abbiano ancora assunto un vero e proprio ruolo sul campo di battaglia dello Stato Islamico, ma – come è accaduto per Al-Qaeda – presto Isis potrebbe decidere di cambiare strategia. Anche perché per le donne, considerate innocue e vulnerabili, è più facile sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine.

D’altro canto, gli stereotipi di genere ci impediscono di vedere che «le donne sono terroriste, esattamente come gli uomini. È una realtà a cui, per quanto sgradevole, dobbiamo far fronte ora più che mai».

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