Ghiaia e piccone, il destino delle donne in Camerun dopo l’avvento di Boko Haram

Alcune di loro sono molto anziane, c’è persino chi ha superato gli ottant’anni. Lavorano a ritmi serrati, mentre il sudore imperla i volti stanchi. La ghiaia si rompe sotto i colpi del piccone, e schizza da tutte le parti. Si continua fino a che si riesce a stare in piedi, in qualsiasi condizione climatica.

Di fronte alla necessità di guadagnarsi da vivere, nemmeno la vecchiaia è garanzia di tranquillità. In Camerun all’insicurezza alimentare negli ultimi tempi si è aggiunto il timore costante degli attacchi terroristici di Boko Haram. Spaccare le pietre nelle cave nei dintorni di Maroua, nel nord del Paese, per molte donne rappresenta ormai l’unica forma di sostentamento. Non esistono alternative alla misera paga offerta, pari a circa due dollari al giorno.

«Mi fa male tutto, lavoriamo come animali. Ma non possiamo farci nulla», ha spiegato Marie Nangatai, 73 anni, a Joel Kouam, giornalista di Associated Press. Da tre anni a questa parte, Nangatai trascorre circa dodici ore al giorno nelle cave di ghiaia. Nel 2013 il Camerun si stava riprendendo dopo quattro anni caratterizzati da una continua alternanza tra alluvioni e periodi di siccità. L’agricoltura ne risentì pesantemente, e le famiglie rimasero senza nulla da mangiare.

Ma per la popolazione camerunense non era ancora giunto il momento di tirare un sospiro di sollievo. Nel momento in cui il Camerun decise di prendere parte alla forza militare regionale nata con lo scopo di debellare Boko Haram, il gruppo terroristico nigeriano si vendicò iniziando a colpire il Paese con una serie di attentati kamikaze.

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«Mentre al principio [nel 2010] con me c’erano solo mia mamma e i miei fratellini, oggi saremo in 150 o 200», ha detto al giornalista di Associated Press Marthe Doumadate. Come racconta Joel Kouam, a lavorare nelle cave sono soprattutto donne. Alcune sono vedove, altre non hanno uomini che provvedano a loro.

«A volte ci crolla addosso della terra. Sono già morte quattro donne», ha riferito Suzanne Djidja all’Associated Press. La maggior parte delle donne lavora senza protezioni, e alcune sono state menomate o uccise da massi caduti all’improvviso. «Le donne sono povere. Non riceviamo nulla dai nostri mariti, quindi siamo costrette a lavorare in questo modo».

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